Gli dei dell'Olimpo e le loro progenie

A Percy Jackson Fan Fiction

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    Introduzione
    Questa fan fiction ripercorre gli eventi di tutta la saga di Percy Jackson ("Gli dei dell'Olimpo" ed "Eroi dell'Olimpo"), inframmezzati da racconti pubblicati a parte nelle raccolte "Il libro segreto" (La biga rubata, Il drago di bronzo, La spada di Ade) e "The demigod diaries" (The diary of Luke Castellan, The staff of Hermes, Leo Valdez and the quest for Buford, The son of magic) - quest'ultima raccolta è ancora inedita in Italia perciò farò anche una sorta di lavoro di traduzione per voi. Alla fine degli eventi delle due saghe principali, inoltre, verranno aggiunti due brevi racconti (Il figlio di Sobek e Lo scettro di Serapide) in cui rispettivamente Percy Jackson e Annabeth Chase incontrano Carter Kane e Sadie Kane - protagonisti della trilogia "The Kane Chronicles". Ovviamente modificherò alcune situazioni e ne aggiungerò di mie personali per coprire alcuni buchi delle saghe. Ogni capitolo verrà narrato da un Punto di Vista diverso - ce ne saranno 8: Talia Grace/Annabeth Chase/Percy Jackson/Jason Grace/Leo Valdez/Piper McLean/Hazel Levesque/Frank Zhang - e capirete chi sta parlando in quel momento grazie alla copertina personalizzata. Come si può vedere da quella generica, mi sono divertita a ricreare - più o meno - gli dei e i loro figli greci e romani con The Sims 3 (non sono riuscita a trovare magliette decenti con la scritta Campo Mezzosangue e Campo Giove). Spero vi piaccia.


    Lista Capitoli
    Capitolo 1
    Capitolo 2
    Capitolo 3

    Edited by Nike8437 - 4/7/2014, 12:59
     
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    E' una calda mattina di metà luglio e l'aria è piuttosto afosa. Il paesaggio collinare ci sfreccia intorno mentre l'auto avanza a grande velocità lungo le assolate strade californiane. Accanto a me, sul suo seggiolino per auto blu, c'è Jason, il mio fratellino di due anni. Guarda davanti a sé con gli occhi blu elettrico spalancati per la sorpresa, mentre l'aria fresca che entra dal finestrino anteriore gli scombina i biondi capelli. A parte il colore degli occhi, io e mio fratello non ci somigliamo molto. Lui è biondo e dolcissimo, mentre i miei capelli sono neri ed ho un bel caratterino che spesso mi porta a scontrarmi con mia madre. A proposito di mia madre, lei guida senza rallentare, guardando fissa di fronte a sé come se ne andasse della sua stessa vita. Mentre stringo una delle manine di Jason, guardo fuori dal finestrino e spero che vada tutto per il meglio. Di solito mamma non ci porta mai da nessuna parte, vista la sua delicata condizione fisica e mentale. Perciò, quando poche ore fa ci ha caricati entrambi in macchina, ho capito che c'era qualcosa di strano. Ma lei ha risposto dicendo che voleva solo passare una giornata fuori casa.
    Dopo circa sei ore nel traffico, finalmente mamma svolta ad un'uscita: Glen Ellen. E' la prima volta che sento il nome di questo posto e mi chiedo che diavolo ci siamo venuti a fare. Proseguiamo per altri chilometri mentre Jason ormai si è stufato di stare seduto e mi tocca trovare un modo per calmarlo prima che scoppi a piangere. Poi, davanti ad un magnifico parco con uno strano edificio al centro, la nostra auto si ferma e mamma scende. Sembra nervosa, ma probabilmente è solo l'effetto dell'alcool che ha continuato a scolarsi mentre guidava. Le avrò detto almeno cento volte di non bere prima e durante un viaggio in macchina, ma ormai sembra non sentirci più. La relazione con nostro padre l'ha davvero distrutta.
    Già... mio padre. Il divino Zeus, come lo chiamavano nei tempi antichi. E come qualcuno lo chiama tuttora. Quando fui concepita, circa dieci anni fa, Zeus lasciò mia madre, come va di moda tra gli dei da secoli ormai, e lei rimase distrutta. Non si dava pace, voleva farlo tornare a tutti i costi. Voleva che lui la facesse diventare immortale e bella per l'eternità, oppure che la portasse sull'Olimpo. Probabilmente Zeus non la sopportava più e così se ne andò, lasciandomi sola con lei, che cominciò a bere mandando all'aria la sua carriera di attrice. E poi, circa tre anni fa, Zeus è tornato nelle nostre vite, anche se il suo aspetto aveva qualcosa di diverso. Si comportava da padre con me ed era più gentile verso la mamma... forse perché gli dispiaceva che lei si fosse messa a bere a causa del suo abbandono. E dopo un annetto nacque Jason e, nonostante litigassi con mia madre spesso, decisi di rimanere per lui. Non potevo lasciarlo da solo con la mamma. Papà l'aveva abbandonata di nuovo e stavolta il colpo era stato tremendo per lei.
    Sgancio le cinture del seggiolino e prendo in braccio Jason per aiutarlo a scendere dall'auto. Poi lo tengo per mano mentre con mamma ci dirigiamo verso lo strano edificio. E' un enorme rudere - che un tempo forse era una villa - di pietre rosse e grigie con travi di legno grezzo che spuntavano qua e là. Jason si guarda intorno meravigliato, facendomi spuntare un sorriso sul volto. Mamma non ci porta mai da nessuna parte, quindi per lui è tutto nuovo... persino l'erba che gli solletica le gambine. La mamma cammina davanti a noi, guardandosi intorno ansiosa, come se si attendesse un attacco di mostri da un momento all'altro. O magari qualcosa di peggio.
    Forse dovrei spiegare questa cosa dei mostri. Essendo una figlia di Zeus, ed essendo nata dopo che papà e i suoi fratelli Poseidone e Ade avevano fatto un patto per cui nessuno dei tre avrebbe più generato un figlio mortale, ovviamente ero una specie di enome bersaglio per tutti i mostri inviati da Ade dall'oltretomba. Finora sono stata attaccata decine di volte... ed ho solo nove anni. Il problema è che, essendo figlia di uno dei tre pezzi grossi dell'Olimpo, il mio odore è più forte di quello di altri semidei e così vengo scoperta più facilmente e mi tocca difendermi sempre da sola. Mamma non saprebbe nemmeno da dove cominciare a proteggermi dai mostri.
    Comunque, ad un certo punto, quando ci troviamo a pochi passi dal rudere, la mamma si volta a guardarci. Ha il viso carico di preoccupazione e gesticola molto. Guarda me e Jason un paio di volte, poi mi si avvicina e libera il piccolo dalla mia presa, prendendolo in braccio. «Tesoro,» mi dice guardando un punto alle mie spalle. «Mi sono accorta che abbiamo scordato il cestino da picnic in macchina. Ti dispiacerebbe andare a prenderlo?»
    La sua richiesta mi sembra così strana. L'auto è dall'altra parte del parco, a circa cinque minuti di cammino a passo svelto. E l'idea di lasciare Jason con lei così a lungo mi spaventa. «Ma mamma, perché non vai tu? Jason potrebbe giocare nell'erba mentre ti aspettiamo. E io resterei qui a sorvegliarlo.»
    Spero che accetti, ma lei scuote la testa dichiarando che, stanca com'è, sicuramente ci metterebbe troppo tempo a tornare, mentre io sono giovane e posso correre in fretta. Cerco di convincerla ad andare tutti insieme, ma lei non vuole sentire ragioni. E così, a malincuore, mi volto verso l'auto e cominciò a correre attraverso il parco per lasciare quei due da soli il minor tempo possibile. Quando arrivo all'auto, la apro, prendo il cestino sul sedile del passeggero anteriore e richiudo la portiera sbattendola. Poi, quasi senza fiato, ricomincio a correre verso la villa sperando che nel frattempo mamma non abbia potuto fare niente di impensabile. Ma mi sbagliavo.
    A pochi passi dal rudere, vedo mia madre inginocchiata sugli scalini dell'edificio, con la testa stretta tra le mani e nessuna traccia di Jason nelle vicinanze. Col cuore che mi batte fortissimo, continuo a correre verso di lei finché non mi fermo ad un centimetro dalla sua schiena.Sta piangendo, singhiozzando silenziosamente. Mi guardo intorno ancora una volta, per essere certa che Jason non ci sia. «Mamma, dov'è Jason?» chiedo con una punta di terrore nella mia voce. Ma lei non risponde. Provo ancora e ancora a chiedere notizie di mio fratello, finché lei non si alza e mi guarda. Ha gli occhi gonfi e rossi, le lacrime le solcano le guance e il suo corpo è ancora scosso da singhiozzi.
    «Ho dovuto farlo, Talia,» mi dice tra un singhiozzo e l'altro.
    All''improvviso sento il sangue gelarsi nelle vene. «Cosa stai dicendo mamma?»
    Lei cerca di calmarsi, ma il suo corpo è scosso dai singhiozzi. «Era... lei ha preteso che le consegnassi Jason,» dice guardandomi. «Lei lo odia, così come odia anche te. Non doveva nascere, è stato troppo per Era.»
    La guardo sconcertata e confusa. «Che diavolo stai dicendo mamma? Dov'è Jason?» Quasi urlo per la disperazione.
    «Te l'ho detto, tesoro,» risponde lei più calma. Ha smesso di singhiozzare e le lacrime non sgorgano più dai suoi occhi. «E' con Era ormai. Non lo vedremo più... è morto.» Il suo tono di voce è rassegnato, come se avesse sempre saputo che Jason sarebbe stato portato via così.
    Intanto io comincio ad agitarmi. «No... no! Jason! Jason dove sei?» Corro in giro per il parco, urlando a gran voce il nome del mio fratellino, ma nessuno mi risponde. Non riesco a credere alla storia di mamma, piuttosto sono convinta che – ubriaca com'è – abbia gettato Jason da qualche parte, lasciandolo da solo a piangere. Ma non ho idea di dove poterlo cercare. E poi alla fine lei mi afferra per un braccio e mi trascina via, verso la macchina, mentre io continuo ad urlare e scalciare. Tornate a casa, non riesco a non smettere di pensare che Jason sia ancora lì, nel parco, da qualche parte nascosto alla nostra vista. Ma parlarne con la mamma è inutile.
    Stremata dal dolore e dalla frustrazione, decido di chiamare la polizia e denunciare mamma. Sono passati ormai quattro giorni dalla scomparsa di Jason e non se n'è ancora saputo nulla. I poliziotti arrivano in fretta e mi chiedono cosa sia accaduto. Spiego loro della strana gita organizzata da mia madre, di come mi abbia costretta a lasciarla con mio fratello e di come, al mio ritorno, lui fosse sparito nel nulla. Una volta finito, chiamano la mamma e la interrogano a lungo. E' ormai sera quando vanno via. Mamma è una furia.
    «Perché diavolo hai detto alla polizia che Jason è sparito a causa mia?» mi chiede avvicinandosi.
    «Perché è colpa tua, mamma! Tu hai permesso che Jason sparisse!» Comincio ad urlare senza nemmeno rendermene conto.
    «Tu mi hai tradita, Talia!» I suoi occhi iniziano a luccicare per le lacrime. «Avresti dovuto sostenermi e invece mi hai denunciata!»
    Una lacrima scende lungo la sua guancia. «Te lo sei meritato! Perché mi hai costretta a lasciarti Jason? Era così piccolo, innocente!» Senza accorgermene, inizio a piangere mentre la rabbia mi monta dentro.
    «Ho dovuto farlo, Talia! Ora forse Zeus tornerà... da me.»
    La sua cecità di fronte all'ovvio mi fa imbestialire. «Mamma! Tu sei pazza! Hai sacrificato la vita di tuo figlio, mio fratello, per un dio che nemmeno ci considera? Ma che razza di madre sei?» Sento il colletto della maglia inumidirsi.
    «Tuo padre mi ama, Talia. Lo ha sempre fatto!»
    «Non è vero! Zeus ti ha solo usata per avere me e Jason. Di te non gliene frega nulla!»
    «Smettila!»
    «No! Questa è l'ultima goccia, mamma! Me ne vado!» Senza nemmeno pensarci su, mi giro e corro verso la porta, la spalanco e corro via il più veloce possibile, verso dove non lo so... so solo che non voglio più stare lì.

    P.S.: Questo capitolo è tratto dall'incontro tra Talia e Jason in "Eroi dell'Olimpo - L'eroe perduto" in cui Talia racconta al fratello e a Leo Valdez cosa accadde quando Jason aveva un paio di anni.

    Edited by Nike8437 - 3/6/2014, 08:51
     
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    e bhè come dargli torto Talia ha perfettamente ragione...mah....
     
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    già...povera cucciola...e povero Jason...
     
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    Sono trascorsi quattro anni ormai dalla scomparsa di Jason, eppure il dolore non accenna minimamente a diminuire. Ho viaggiato in lungo e in largo, riposandomi in luoghi più o meno sicuri, e combattendo le forze inviatemi contro da Ade. Ma non sono stata sempre da sola. Circa due anni fa, mentre mi precipitavo fuori da una caverna poco fuori Charleston, in Sud Carolina, mi sono scontrata con un semidio di nome Luke Castellan. Io seguivo Almatea, una capra sacra a mio padre che mi ha guidata fino a quella caverna. Luke invece era solo in fuga dai mostri con una mazza da golf come arma. Dopo il primo spavento, abbiamo iniziato a conoscerci e a viaggiare insieme, aiutandoci l'un l'altro con i mostri. E' un figlio di Ermes, alto, muscoloso, con due occhi blu e i capelli biondi.
    A proposito della capra... sono già tre giorni che seguiamo Almatea per la Virgina. La sua apparizione mi ha resa nervosa, anche se non so spiegarmene il motivo. So solo che è un segno da parte di Zeus, e non posso lasciarmelo sfuggire. Luke non sembra molto convinto a seguirla, ma non da alcun segnale di volermi contrastare, perciò andiamo avanti. E' l'alba quando finalmente arriviamo a Richmond. La città è ancora addormentata e non si sentono rumori. Ad un certo punto la capra si ferma ai piedi di una statua di un tizio a cavallo al centro della piazza.
    «Nasconditi!» intimo a Luke spingendolo in un cespuglio.
    «E' solo una capra,» mi risponde lui per la millionesima volta. «Perché -?»
    «E' speciale,» lo interrompo ripetendo ancora una volta la stessa cosa. «E' uno degli animali sacri di mio padre. Il suo nome è Amaltea.»
    Finora non avevo mai menzionato il suo nome, non so perché invece ora mi sembra importante.
    «Quindi, hai già visto questa capra prima d'ora?» mi chiede Luke.
    Annuisco con riluttanza. «A Los Angeles, la notte in cui sono fuggita di casa. Amaltea mi ha condotta fuori città. E poi, la notte in cui ci siamo incontrati... mi ha condotto da te.» Luke mi guarda confuso. Non gli ho mai detto che mi trovavo in quella caverna per colpa di Amaltea. In realtà non gli ho mai nemmeno detto nulla di mamma o di Jason. Faccio un respiro profondo. «Luke, quando Amaltea appare, vuol dire che accadrà qualcosa di importante... qualcosa di pericoloso. E' una specie di avvertimento da Zeus, una guida.»
    «Una guida per cosa?» mi chiede.
    «Non lo so... ma guarda.» Indico la capra. «Stavolta non è scomparsa. Dobbiamo essere molto vicini al luogo in cui vuole condurci.»
    Amaltea bruca l'erba intorno alla piazza, senza alcuna preoccupazione. Ha uno strano aspetto: ha due corna a forma di ghirigoro come un ariete ma le mammelle di una capra. Il pelo grigio arruffato ora brilla, quasi come se fosse un fantasma. Fortunatamente io e Luke avevamo imparato che i mortali non vedono le cose esattamente come le vediamo noi. Ad esempio, i mortali invece di una capra luminescente al centro della piazza potrebbero vedere un semplice cagnolino. Non sappiamo bene che forza magica sia, ma è molto utile quando non vuoi far capire agli altri chi sei. Afferro il polso di Luke.
    «Andiamo. Cerchiamo di parlarle.»
    «Prima ci nascondiamo dalla capra,» dice lui, «e ora vuoi parlare alla capra?»
    Lo tiro fuori dal cespuglio e ci avviciniamo ad Amaltea. La capra non ci nota, continua a masticare l'erba. «Amaltea?» Mi inginocchio accanto a lei. La capra si volta a guardarmi. Ha occhi tristi color ambra e un collare di bronzo intorno al collo. Guardo la capra negli occhi. «Amaltea, cosa vuoi che faccia? Ti ha mandata mio padre?»
    La capra lancia uno sguardo a Luke, come ad indicare che non parla davanti a lui. Luke fa un passo indietro. «Um, Talia, sei sicura che la capra sia da parte di tuo padre?»
    «E' immortale,» gli rispondo. «Quando Zeus era un bambino, sua madre Rea lo nascose in una caverna -»
    «Perché Crono voleva mangiarlo?» mi interrompe Luke.
    Annuisco. «Così questa capra, Amaltea, si è presa cura del piccolo Zeus nella sua culla. Lo ha cresciuto.»
    «A forza di Rugiada di montagna?»
    Aggrotto le sopracciglia. «Cosa?»
    «Leggi le etichette,» mi risponde Luke. «La capra ha cinque sapori più un dispensatore di ghiaccio.»
    La capra fa un verso stizzito e per calmarla le accarezzo la schiena. «Va tutto bene. Non voleva insultarti. Perché ci hai condotti qui, Amaltea? Dove vuoi che vada?» Amaltea struscia le corna sulla statua che inizia a muovere il braccio destro puntando una casa di mattoni rossi dalla parte opposta della strada. Le pareti sono coperte di edera e a ciascun lato si innalzano enormi querce. Le finestre sono chiuse con le imposte e scure. Delle colonne bianche fiancheggiano il porticato. La porta è dipinta di nero carbone.
    «La capra vuole che andiamo lì?» chiede Luke. Almatea gli risponde con un verso che sembra quasi una conferma. Metto una mano su uno dei suoi corni.
    «Grazie, Almatea. Io – io mi fido di te.» Non sono molto tranquilla, ma se Almatea ci ha condotti qui un motivo ci deve essere. All'improvviso la capra scompare, lasciandoci soli ai piedi della statua.
    «Sei sicura?» mi chiede Luke.
    Mi volto a guardarlo. «Almatea mi ha condotta a cose buone. L'ultima volta mi ha condotto da te.»
    «D'accordo. Casa spaventosa, arriviamo.»
    Il pomello in ottone della porta d'ingresso ha la forma della testa di Medusa, che ovviamente non è un buon segno. Le assi di legno del porticato scricchiolano sotto i nostri piedi. Le imposte delle finestre si stanno staccando, ma i vetri sono sporchi e coperti all'interno da grosse tende scure, così è impossibile guardare cosa accade dentro la casa. Busso, ma nessuno mi risponde. Provo a girare il pomello, ma sembra essere bloccato.
    Mi volto verso Luke. «Puoi fare quella cosa?»
    «Odio farlo,» mi risponde lui.
    Non so bene come faccia, ma se ci troviamo davanti ad una serratura o una porta chiusa, lui riesce ad aprirla in breve tempo. Comunque, senza farsi pregare troppo, Luke si inginocchia davanti alla porta e dopo qualche istante la porta si apre.
    «Questa cosa è fantastica,» mormoro nonostante lo abbia visto all'opera diverse volte.
    L'ingresso trasuda un odore malvagio, come l'alito di un uomo in punto di morte. Ma non mi lascio intimorire ed entro in quella casa. Ci troviamo in una vecchia sala da ballo. In alto un candeliere brilla di bigiotteria fatta di bronzo celeste – punte di frecce, pezzi di armature e else di spade rotte – che spargono una sfumatura giallognola su tutta la stanza. Due corridoi conducono lontano dalla sala, uno a destra e uno a sinistra. In mezzo una scala. Scure tende bloccano le finestre. Forse una volta questo posto era impressionante, ma ora sembra solo abbandonato. Il pavimento di marmo a scacchiera è coperto di fango e una sostanza secca che spero sia ketchup. In un angolo, un sofà è stato distrutto. Ai piedi delle scale un cumulo di lattine, tappeti e ossa – ossa umane probabilmente. Tiro fuori la mia arma dalla cintura. Sembra una lattina di gas lacrimogeno, ma quando la clicco si trasforma in una lancia con la punta di bronzo celeste. Luke tiene stretta in mano la sua mazza da golf.
    «Forse non è una buona -» inizia Luke, ma viene interrotto dalla porta che si chiude alle nostre spalle. Luke prova a riaprirla, ma non ci riesce. «E' una magia di qualche specie,» dice alla fine. «Siamo in trappola.»
    Mi avvicino di corsa alla finestra più vicina. Cerco di separare le tende, ma il tessuto pesante mi si attorciglia intorno al polso. «Luke!» Le tende si sciolgono in una sostanza oleosa come lingue nere giganti. Mi scorrono sulle braccia, coprendo la mia lancia. Luke attacca le tende con la sua mazza da golf, costringendo per alcuni istanti le tende a tornare di tessuto e liberandomi. La lancia mi cade a terra mentre Luke mi trascina via per evitare che le tende mi attacchino di nuovo. Comincio a tremare tra le sue braccia, per la paura. Alzo le mani che fumano e sono piene di vesciche. Al solo guardarle, mi sento quasi svenire.
    «Resisti!» Luke mi adagia a terra, poi cerca qualcosa nel suo zaino. «Resisti, Talia. Ci sono.» Poi mi versa sulle mani quel poco che resta della sua scorta di nettare – la bevanda degli dei che può curare ogni ferita. Il fumo inizia a dissiparsi e le vesciche scompaiono. «Starai bene,» mi dice Luke. «Riposati.»
    «Noi – non possiamo,» gli dico con voce tremante, ma riesco a mettermi in piedi. «Se tutte le finestre sono così e la porta è bloccata -»
    «Troveremo un altro modo,» mi promette lui.
    Ci guardiamo intorno, considerando le nostre opzioni. All'improvviso noto nel corridoio di sinistra due luci rosse che si muovono, brillando sempre pià intensamente mentre si avvicinano. Poi un ruggito. «Um, Luke...» Indico l'altro corridoio, da cui stanno fuoriuscendo altre due luci rosse. Da entrambi i corridoi proviene un suono strano, un clack, clack, clack.
    «Le scale mi sembrano invitanti,» dice Luke e da sopra una voce maschile, piena di tristezza, gli risponde: «Si, da questa parte.»
    «Chi sei?» urla Luke.
    «Sbrigatevi,» risponde la voce, ma nel suo tono non c'è traccia di emozione. E poi, come un eco, la stessa voce ripete: «Sbrigatevi» prima dalle luci rosse a destra e poi da quelle a sinistra.
    Prima che possa anche solo pensare, Luke mi afferra il polso e mi trascina per le scale.
    «Luke -»
    «Andiamo!»
    «Se è un'altra trappola -»
    «Non abbiamo scelta!». Continuiamo a correre su per le scale.
    Davanti a noi, la voce di prima ci chiama di nuovo: «Da questa parte!» Ora ha un tono più urgente. «Ultima porta a sinistra. Muovetevi!» Dietro di noi, le creature che ci inseguono ripetono come un eco le ultime due parole. Qualcosa nella voce mi fa pensare che possa essere di qualcuno in pericolo di vita.
    «Dobbiamo aiutarlo,» dico a Luke e dalla sua espressione capisco che sta pensando la stessa cosa.
    «Si,» concorda.
    Senza voltarci, andiamo avanti lungo il corridoio. Raggiungiamo la porta e Luke ci si lancia contro per aprirla, anche se la porta si apre da sola. Ci ritroviamo all'interno della stanza, a faccia a terra sul tappeto. Alle nostre spalle la porta si chiude. All'esterno, le creature ululano per la frustrazione e graffiano contro i muri.
    «Salve,» dice la voce che all'improvviso sembra più vicina. «Mi dispiace molto.»

    P.S.: Questo capitolo è tratto dal racconto "The Diary of Luke Castellan" contenuto nella raccolta The demigod diaries in cui Luke racconta le vicende che precedono il loro incontro con Annabeth Chase
     
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    mamma mia che ansia....e ci lasci cosi...senza sapere di chi si tratta??? ma si fa????
     
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    ahahah...si!!!rick riordan lo fa sempre alla fine dei libri...

    no, comunque entro fine settimana posto il seguito
     
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    ma tu non sei Rick!!!!! U_U
     
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    infatti...e meno male!!!da quanto so progetta di uccidere qualcuno alla fine della saga sto stronzo...se sono percy o annabeth lo strangolo...e anche se sono Jason/Piper/Leo/Frank/Hazel/Nico/Talia...lo strangolo uguale
     
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    in pratica farà una brutta fine a prescindere XD
     
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    esatto! :P :D ;)
     
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    Di fronte a noi c'è un uomo che indossa stivali in pelle di serpente e un vestito a chiazze marroni e verdi che potrebbe essere fatto dello stesso materiale. E' alto e scarno, con ispidi capelli grigi tanto selvaggi quanto i miei. Sembra un Einstein molto vecchio, malato e vestito meglio. Le spalle incurvate. I suoi tristi occhi verdi sono segnati dalle borse. Forse una volta era un bell'uomo, ma la pelle del suo viso pende come se fosse stata parzialmente sgonfiata.
    La sua stanza è arredata come uno studio in un appartamento. A differenza del resto della casa è in buone condizioni. Contro il muro più lontano c'è un letto singolo, una scrivania con un computer e una finestra coperta con tende scure come quelle al piano inferiore. Lungo il muro di destra c'è una libreria, un cucinotto e due porte - una che porta al bagno e l'altra in un largo sgabuzzino. Poi noto qualcos'altro sulla nostra sinistra.
    «Uhm, Luke...»
    L'area a sinistra della stanza ha delle sbarre di ferro, come una cella. All'interno c'è la mostra zoologica più spaventosa del mondo. Il pavimento di ghiaia è coperto di ossa e pezzi di armature, e un mostro con il corpo di leone e il pelo color ruggine va avanti e indietro. Al posto delle zampe ha degli zoccoli come di cavallo e la coda si dimena come una frusta. La testa è un miscuglio di cavallo e lupo - con orecchie appuntite, un muso allungato e labbra nere dall'aspetto orrendamente umano. Il mostro ringhia. Al posto dei denti, ha due lastre di ossa a forma di ferro di cavallo. Quando chiude la bocca, le lastre di ossa fanno quel clack clack clack che abbiamo sentito di sotto. Gli occhi del mostro si fissano su Luke, mentre la saliva gli cola dalle strane creste d'osso. Dal corridoio si sentono ancora le altre due creature che ringhiano. Aiuto Luke a rialzarsi, e poi ci voltiamo a guardare l'uomo.
    Chi sei? Cos'è quella cosa nella gabbia?» chiede Luke.
    Il vecchio fa una smorfia. La sua espressione è piena di tristezza, quasi come se stesse per piangere. Apre la bocca, ma quando parla le parole non provengono da lui. Come in un terrificante show da ventriloquo, il mostro parla per lui con la voce del vecchio: «Sono Halcyon Green. Sono terribilmente spiacente, ma voi siete in gabbia. Siete stati attirati qui per morire.»
    La mia lancia è rimasta di sotto, perciò come arma abbiamo solo la mazza da golf di Luke. Lui la brandisce contro il vecchio, che non fa cenno di muoversi. «Fa-farai meglio a spiegarti,» dice Luke. Dal tono della sua voce si capisce che ha tanta paura quanta ne ho io. «Perché - come - cosa...?»
    Da dietro le sbarre, il mostro fa schioccare la mascella di lastre d'osso. «Capisco la vostra confusione,» dice con la voce del vecchio. «La creatura che vedete qui è un leucrota. Ha un gran talento per imitare le voci umane. Ecco come attira le proprie vittime.»
    Luke guarda dall'uomo al mostro. «Ma... la voce è tua? Voglio dire, il tizio con l'abito di pelle di serpente - sto ascoltando quello che lui vuole dire?»
    «Esatto,» dice il leucrota sospirando pesantemente. «Sono, come dici tu, il tizio con l'abito di pelle di serpente. Questa è la mia maledizione. Il mio nome è Halcyon Green, figlio di Apollo.»
    Inciampo all'indietro. «Sei un semidio? Ma sei così...»
    «Vecchio?» chiede il leucrota. L'uomo, Halcyon Green, si studia le mani piene di macchie cutanee, come se non credesse che sono le sue. «Si, lo sono.»
    Io e Luke raramente abbiamo incontrato dei semidei in questi anni, ma erano tutti ragazzini, come noi. Eppure Halcyon Green è antico. «Da quanto tempo sei qui?» chiede Luke.
    Halcyon alza le spalle svogliatamente. Il mostro parla per lui: «Ho perso il conto. Decadi? Poiché mio padre è il dio degli oracoli, sono nato con la maledizione di vedere il futuro. Apollo mi ha avvertito di tenerlo nascosto. Mi ha detto che non avrei mai dovuto condividere ciò che vedo con gli altri perché altrimenti gli dei si sarebbero arrabbiati. Ma molti anni fa... ho semplicemente dovuto dirlo. Ho incontrato una giovane ragazza che era destinata a morire in un incidente. Le ho salvato la vita dicendole del futuro.»
    «Non capisco...» dice Luke. «Hai fatto una cosa buona. Perché questo avrebbe dovuto far arrabbiare gli dei?»
    «A loro non piace che i mortali si intromettano nel destino,» dice il leucrota. «Mio padre mi ha maledetto. Mi ha costretto a indossare questi abiti, la pelle del Pitone che una volta proteggeva l'Oracolo di Delfi, come un promemoria che io non ero un oracolo. Mi ha tolto la voce e mi ha rinchiuso in questa abitazione, la casa della mia giovinezza. Poi gli dei hanno messo i leucroti a sorvegliarmi. Di solito i leucroti imitano soltanto il linguaggio umano, ma questi sono connessi ai miei pensieri. Parlano per me. Mi tengono in vita come esca, per attrarre altri semidei. E' stato il modo di Apollo per ricordarmi, per sempre, che la mia voce condurrà gli altri soltanto al loro tragico destino.»
    «Avresti dovuto combattere,» dice Luke. «Non meritavi questo. Scappa. Uccidi i mostri. Ti aiuteremo noi.»
    «Ha ragione,» aggiungo. «A proposito, lui è Luke. Io sono Talia. Abbiamo combattuto molti mostri. Ci deve essere qualcosa che possiamo fare, Halcyon.»
    «Chiamami Hal,» dice il leucrota. L'anziano scuote la testa con aria abbattuta. «Ma voi non capite, Non siete i primi ad arrivare qui. Temo che tutti i semidei sentano che ci sia speranza appena arrivano qui. A volte cerco di aiutarli, non funziona mai. Le finestre sono sorvegliate da tendaggi mortali -»
    «L'ho notato,» mormoro.
    «- e la porta è potentemente incantata. Vi lascia entrare, ma non uscire.»
    «Lo vedremo,» risponde Luke prima di voltarsi e appoggiare la mano sulla serratura. Vedo il sudore colare sul suo viso per la concentrazione. Ma il suo giochetto non funziona.
    «Te l'ho detto» dice il leucrota. duramente. «Nessuno di noi può fuggire. Combattere i mostri è inutile. Non possono essere feriti da alcun metallo conosciuto all'uomo» E per provare le sue parole, il vecchio sposta l'orlo della sua giacca di pelle di serpente, scoprendo un pugnale infilato nella sua cintura. Sfodera la lama di bronzo celeste dall'aspetto malvagio e si avvicina alla cella del mostro. Il leucrota ringhia contro di lui. Hal scaglia il pugnale tra le sbarre, dritto contro la testa del mostro. Di solito il bronzo celeste avrebbe disintegrato il mostro con un solo colpo. La lama semplicemente rimbalza sul muso del leucrota, senza lasciare traccia. Il leucrota da un calcio alle sbarre con i suoi zoccoli, e Hal si allontana. «Visto?» dice il mostro per Hal. «Quindi ti arrendi?» chiedo. «Hai aiutato i mostri a condurci qui e aspetti ce ci uccidano?»
    Hal rinfodera il pugnale. «Mi dispiace, mia cara, ma non ho scelta. Anche io sono intrappolato qui. Se non coopero, i mostri mi lasciano morire di fame. I mostri potevano uccidervi nel momento in cui siete entrati in casa, ma mi hanno usato per attirarvi di sopra. Mi permettono di avere compagnia per un po'. Lenisce la mia solitudine. E poi... beh, ai mostri piace mangiare al tramonto, oggi sarà alle 19:03.» Indica l'orologio digitale sulla sua scrivania che segna le 10:36. «Dopo che ve ne sarete andati, io... sopravvivo con qualunque razione avete portato.» Guarda lo zaino di Lukecon sguardo affamato.
    «Sei tanto cattivo quanto i mostri,» dice Luke.
    Il vecchio sussulta. «Hai ragione ad odiarmi,» dice il leucrota con la voce di Hal, «ma non posso salvarvi. AL tramonto quelle sbarre si alzeranno. I mostri vi porteranno via e vi uccideranno. Non c'è via di fuga.» All'interno del recinto del mostro si apre un pannello quadrato sul muro posteriore. Altri due leucroti entrano nella gabbia. Tutti e tre ci fissano con i loro occhi rossi luminosi. Ad un certo punto, uno dei leucroti prende in bocca un pezzo di armatura. Il pettorale di bronzo celeste sembra abbastanza resistente per fermare una lancia, ma il leucrota la stringe con la forza di una morsa e lascia un buco a forma di zoccolo di cavallo nel metallo. «Come vedete,» dice un leucrota con la voce di Hal, «i mostri sono molto forti.» Stringo le dita nel braccio di Luke. «Mandali via,» lo imploro. «Hal, puoi farli andare via?»
    Il vecchio si acciglia. Il primo mostro dice: «Se lo faccio, non potrò più parlarvi.»
    Il secondo mostro aggiunge: «Inoltre, qualunque strategia voi vogliate tentare, è già stata provata da qualcun altro.»
    Il terzo mostro dice: «Non ha senso parlare in privato.»
    Cammino avanti e indietro, agitata quanto i mostri. «Sanno cosa stiamo dicendo? Cioè, parlano soltanto o capiscono le parole»
    Il primo leucrota imita la mia voce: «Capiscono le parole?» E' la cosa più orribile che abbia mai sentito.
    Il secondo mostro parla con la voce di Hal: «Le creature sono intelligenti, come i cani. Capiscono le emozioni e alcune frasi semplici che possono usare per attirare le prede. Frasi tipo "Aiuto!". Ma non sono sicuro di quante frasi umane capiscano. Non importa. Non potete imbrogliarli.»
    «Mandale via,» dice Luke. «Hai un computer. Scrivi ciò che vuoi dirci. Se dobbiamo morire al tramonto, non voglio che quelle cose mi fissino tutto il giorno.»
    Hal esita, poi si volta verso i mostri e li fissa in silenzio. Dopo qualche momento, i leucroti ringhiano. Escono dal pannello sul muro che si chiude alle loro spalle. Hal si volta verso Luke. Allarga le mani come per scusarsi o chiedere qualcosa.
    «Luke,» chiedo ansiosa. «Hai un piano?»
    «Non ancora,» ammette lui. «Ma sarà meglio trovarne uno prima del tramonto.»

    P.S.: Questo capitolo è tratto dal racconto "The Diary of Luke Castellan" contenuto nella raccolta The demigod diaries in cui Luke racconta le vicende che precedono il loro incontro con Annabeth Chase
     
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    wowo quanto mi piace sta storia...quegli occhi rossi secondo me terrorizzano
    hai descritto quella stanza cosi berne che l'ho vista!
     
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    grazie...ma la descrizione è di Rick Rordan...io lo sto solo traducendo...
     
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    non importa io leggo te
     
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